Ho aperto un cassetto e dentro ho trovato i resti di una città: Milano
Mi piace riprodurre i luoghi e uno dei motivi per cui mi piace è il poterli vedere poi, dentro immagini che ne ritagliano degli angoli, vedere la luce che cade sulle strade e sugli oggetti mostrandone la forma e le dimensioni.
Milano da questo punto di vista è sempre stata sfuggente; ho provato in tanti modi a cercarle un volto che mi piacesse, fra i molti che si mette addosso ogni giorno, ma non ho fatto altro che inciampare e cadere su immagini inadeguate.
Un giorno ho pensato potesse essere colpa del fatto che era il luogo in cui lavoravo e vivevo, per cui non riuscivo a guardarla davvero, se non attraverso il caos e la fretta con cui ero costretta a passarvi attraverso. Allora ho deciso che avrei provato a fare la turista: avrei camminato piano, guardando i palazzi e le strade allo stesso modo in cui avrei guardato una città sconosciuta.
Non ha funzionato, ho continuato a vedere una città brutta e banale dentro i miei scatti.
Per ovviare il problema del mio rapporto contrastato con la capitale lombarda, ho preso l'abitudine di andare via ogni fine settimana: cercavo posti più adatti a me, che stimolassero il mio sguardo o che lo portassero in un mondo del tutto estraneo.
Poi, a marzo dell'anno scorso, è arrivata la pandemia ed io e Milano siamo diventate come due vecchie consorti che si danno reciprocamente fastidio, ma costrette, per motivi che non dipendono dalla loro volontà, a rimanere sempre insieme.
Fra le conseguenze inattese della convivenza forzata c'è stato l'acuirsi del bisogno di dare un volto alle sue strade, probabilmente perché erano le uniche sulle quali potevo camminare (e nemmeneo così liberamente).
Oggi forse ho trovato quel volto, ma per arrivarci ho camminato a lungo e sono passata attraverso una serie di fallimenti, il primo dei quali lo trovate quì sopra.
Da principio infatti ho ripreso vecchi scatti, cercando di capire cosa non mi piacesse e, dopo averli girati sottosopra, ho finito col giocare un pò con loro, mettendo un velo davanti alle strade grigie, ai palazzi brutti e alle persone che camminavano senza guardare dove andavano. In alcuni casi un velo artefatto, in altri trovato naturalmente davanti alle cose.
Dicono che la distanza da ciò che viviamo possa aiutare a compredere meglio quello che accade, ho pensato che potesse funzionare anche con la fotografia: quel velo davanti alla città mi avrebbe forse permesso di osservare col giusto distacco la realtà, aiutandomi a trovare quello stavo cercando.
"Se una veduta non è nulla più della raffigurazione di un pezzo di territorio, l'immagine riuscirà a fermare la nostra attenzione solo per poco; preferiremo allora il luogo in sè, che possiamo percepire e odorare e ascoltare, oltre che vedere; eppure allontanandoci dalla scena, speriamo spesso di poterla ritrovare da qualche parte nell'arte."
("La bellezza in fotografia" di R. Adams)